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29/10/2011 -

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Nello Dipasquale, invidia e rivoluzione

Avete visto lo speciale del Tg 1 sul movimento Occupy Wall street? Hanno vietato agli indignati americani altoparlanti e microfoni e si sono ingegnati così: chi vuol parlare grida Mic check – prova microfono – e tutte le frasi dette da chi ha chiesto attenzione vengono ripetute a voce alta dall’intera piazza. Messaggi semplici e rivoluzionari. E’ il risveglio da un sogno – il capitalismo – che si sta trasformando in un incubo. Per noi ragusani la questione è più complicata avendo creduto, negli ultimi 35 anni, di vivere oltre quel sistema essendo i creatori di un modello unico nel mediterraneo meridionale che aveva persino cancellato la lotta di classe spalmando ricchezza diffusa. E’ inutile spiegare l’illusorietà di questa architettura che ha ceduto appena il sistema nazionale e globale del capitalismo è entrato in crisi, confermando quindi che il modello Ragusa era solo una delle tante forme del sistema principale, una canalizzazione priva di qualsiasi originalità economica; soffermiamoci, invece, sulla miope e pericolosa resistenza al risveglio che si registra nella fascia privilegiata delle corporazioni della città, sindacati e associazioni di categoria, i portabandiera del modello. Nello Dipasquale che non è un sognatore e che ha l’esigenza di rimanere sulla scena come uomo scelto dal popolo e vittima della crisi, dei tagli di governo, della inerzia della politica del suo partito, ha avuto l’ardimento di affrontare il tema della validità del modello Ragusa ed ha invitato le sacre sigle ad un dibattito della sua nuova associazione, Territorio, per sentire gli umori e posizionarsi come meglio gli conviene. Si è verificato qualcosa di molto strano: l’intuizione della politica – seppur testimoniata da un tipo come il nostro sindaco che non merita apprezzamenti per la sua condotta e per la sua gestione governativa – è stata rintuzzata e mortificata da sindacati e categorie. Dipasquale aveva esordito ammettendo che il modello Ragusa era saltato, sperando di accendere la platea e di ottenere un seguito rumoroso e battagliero che poteva dare la stura ad un po’ di clamore. Si è ritrovato afflosciato, narcotizzato dalla barbosità di Cgil, Cisl, Uil e via dicendo che ancora si aggrappano “all’effervescenza” della piccola e media impresa ragusana. Siamo avvolti in un doppio dramma: il governo Dipasquale che per vassallaggio alle lobby ha distrutto la città insistendo sulla cementificazione come primo motore dell’economia, e sindacati e categorie vigorosamente appiattiti su un defunto ma tranquilizzante – solo per loro divenuti primi attori – sistema di organizzazione sociale. Sentire Avola della Cgil che si entusiasma per l’azione della Chiesa – in verità più coraggiosa e dignitosa rispetto ai pachidermi “laici” sui problemi dell’accoglienza e dell’integrazione -, e che plaude a squarciagola sulle iniziative di un politico del Pdl, ci induce a tirar le somme sugli ultimi anni del sindacato che ha fatto parlare di sé solo per uno scandalo sessuale, il caso Licciardi, e che non riesce a liberarsi dal marciume che cova al suo interno dove c’è un intero pacchetto di iscritti e dirigenti al servizio della società Busso, insomma un sindacato giallo stile Valletta. E’ solo un esempio per farci riflettere sulla credibilità non solo della politica ma dei corpi intermedi dello Stato, dal mondo imprenditoriale, a quello dell’associazionismo, a quello sindacale. L’aderenza con il sistema qui a Ragusa è assoluto, totale, integrale, non ha incrinature né lacerazioni. L’illusione del modello Ragusa ha alimentato in questa fascia il culto della bontà del capitalismo spazzando idealità, tensione morale, e curiosità intellettuale. Anche il mondo dei lavoratori e la sinistra si sono ritrovati nell’intimo conservatori e, assaporando quel nuovo gusto, hanno giustificato la loro resa spacciandola per cambiamento naturale dei tempi. Sindacati e categorie sono divenuti convinto strumento di propaganda del sistema di potere sia esso nazionale che locale, spingendo la comunità nella disperata e finale corsa verso il baratro. Come dimenticare le ridicole convocazioni degli Stati generali per l’università e per l’edilizia dove si sono negati errori di investimento e massacri sul territorio, pur di non turbare il modello Ragusa che li aveva con scaltrezza coinvolti facendoli sentire attori e manovratori di un sistema? Nello Dipasquale giovedì sera si è ritrovato schiacciato da questi manichini animati e ha dovuto rinunciare alla voglia irrefrenabile di far casino. Alla fine, però, non ce l’ha fatta ed ha esclamato: “Io aspetto sino al 31 dicembre, poi basta; sappiate che provo una grande invidia quando vedo quelli della No Tav che riescono ad occupare telegiornali e prime pagine dei giornali”. La soluzione ci sarebbe. Al posto di Michele Colombo che con i soldi del contribuente gli fa da autista e maggiordomo – giovedì a Palazzo Garofalo accoglieva all’entrata e poi accompagnava a sedere nella poltroncina – potrebbe trovare un Er Pelliccia qualsiasi. Ed a proposito di folti capelli – resta intatto il mistero del dono di Dio o del parrucchino – segnaliamo tra la massa di interventi soporiferi, il garbato e intelligente discorso del nuovo presidente della Camera di Commercio, Gambuzza, che ha criticato l’unione europea che continua a stanziare fondi per pascoli e boschi, trascurando la nostra agricoltura. Uno spunto che dovrebbe farci sorgere qualche dubbio. In Europa già pensano alle grandi distese che ci sfamano e al verde che ci fa respirare. Ci avessero pensato Nello Dipasquale, i costruttori, la Lega delle cooperative a piantare cavoli al posto di villette, potremmo essere un modello: volume edificatorio zero. Lo ha fatto Matteo Renzi e adesso se la spara alla Leopolda. Povero sindaco, destinato a misurarsi ed a provare invidia. Mic check, Mic check. Ragusa rottama vecchio modello e sacre sigle. Ricordiamoci che noi siamo il 99%.

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