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16/12/2011 -

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ATO AMBIENTE in liquidazione ma i COCOPRO cercano la stabilizzazione

Tagli, dismissioni, chiusure di enti, ma il sistema siciliano resiste. Che fine faranno, infatti, tutti quei lavoratori a progetto e precari che avevano trovato sollievo attraverso la macchina clientelare e amicale retta dalla politica? Un esempio lo abbiamo all’Ato ambiente, una pachidermica struttura che doveva gestire il ciclo dei rifiuti. Gli Ato non hanno funzionato, tant’è che è arrivata la liquidazione, ma la gestione delle assunzioni sì. Fino al 9 dicembre scorso l’Ato annoverava tra il personale ben 19 lavoratori con contratto di collaborazione a progetto, persone individuate senza gara, trascurando le norme che regolano la materia specifica del lavoro in dispregio dei principi generali di pubblicità degli atti della pubblica amministrazione. Forse gli amministratori ritenevano che l’Ato, essendo costituito nella forma di consorzio e strutturato come società per azioni, fosse un soggetto di diritto privato, una qualsiasi società di mercato che può autodeterminare le proprie scelte nel chiuso delle mura di casa o meglio di partito. Gli amministratori dell’Ato disconoscevano o facevano finta di non conoscere che la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta con un proprio provvedimento a definire la natura degli Ato, stabilendo che trattasi di società costituite in forza di legge – la norma nazionale che obbliga i Comuni ad aggregarsi negli ambiti territoriali ottimali – secondo le forme previste dal diritto commerciale, ma sostanzialmente riconducibili ad enti strumentali con cui i soggetti pubblici ossia i Comuni (che per altro sono i finanziatori degli Ato) sono tenuti ad espletare una funzione di natura assolutamente pubblica. E la stessa Corte si spinge oltre nel chiarimento fornito, laddove specifica che gli Ato, essendo società costituite solo ed esclusivamente da soggetti pubblici, sono tenuti, nello svolgimento delle proprie azioni amministrative, ad assumere gli stessi comportamenti propri dei soggetti pubblici che ne sono soci. In questo senso è inequivocabile che l’Ato di Ragusa per trovare le risorse umane avrebbe dovuto preliminarmente adottare quello atto di evidenza pubblica contenente la volontà dell’azione dell’Ente, le figure professionali che si ricercavano e i criteri con cui tali figure sarebbero state selezionate. Niente di tutto questo, la manifestazione di volontà è stata resa nota solo alla classe politica provinciale, stante che inequivocabilmente ciascuno dei 19 discende dai predetti soggetti per motivi politici, per motivi nepotistici e per motivi affettivi. Ed ora che fine faranno questi lavoratori a progetto? Da una decina di giorni non lavorano ed i liquidatori hanno interrogato professori di diritto per vedere come comportarsi. Non siamo davanti ad una vertenza, ma ad un ricorso. Questi lavoratori, nonostante i tempi, sembrerebbero risultare ancora una volta fortunati: i loro contratti conducono quasi naturalmente ad un contenzioso giudiziario destinato a superare la forma dei cocopro per giungere ad un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Ora pare che la soluzione dell’arcano consisterebbe in una transazione tra le parti che vedrebbe i lavoratori recedere dall’atto giudiziale, e l’Ato, soccombente, trasformare i rapporti ossia assumere a tempo indeterminato. Tutto sta avvenendo in assoluto silenzio, nel rispetto della tradizione che vuole, attorno a queste assunzioni, il mistero. E i tanti giovani e meno giovani della nostra provincia, magari in possesso di titoli e qualificazioni adatti a ciò che doveva essere e svolgere l’Ato, rimangono ancora una volta traditi nelle loro legittime e democratiche aspettative.

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