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28/03/2012 -

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NELLO DIPASQUALE CORE INGRATO

Il divorzio più lungo della storia, quello fra Nello Dipasquale e Innocenzo Leontini, a confronto gli affanni amorosi di Anna Karenina sono supersonici nonostante la corposità del doppio tomo. A ogni taglio sulla legge di Ibla, l’ex coppia salta per aria. Vuoi vedere che per separarsi in pace finiscono sul lettino davanti a Giorgio Chessari? Che Dipasquale sia un po’ ingrato è un’ovvietà certificata, ed è proprio questa ingratitudine, questo suo non riconoscere il passato, che lo sta mantenendo in piedi. Nello Dipasquale deve cancellare la memoria per ergersi come novità, deve assumere una rigidità assoluta per orientare a suo favore gli impulsi ribellistici di qualche credulone, deve, con fare altezzoso, girar le spalle a chi lo ha aiutato e attendere fremente che l’azzardo funzioni. E’ logico, se l’intento del nostro primo cittadino è candidarsi nel 2013, che ogni suo slogan si incastoni in un quadro di solitudine che renda unica e meritevole di apprezzamento persino la banalità. Avvilente, certo, per noi cittadini, dovere subire i messaggi quotidiani di Nello Grande Fratello che ci bombarda con i suoi successi e le sue vittorie riducendoci in condizioni di estremo sconforto che può far vacillare il giudizio; ed è questo il problema. Giudizio e memoria formano un nesso indissolubile per creare coscienza morale e politica, ma al sindaco non piace l’esercizio continuativo di queste facoltà; lui preferisce accendere a comando le corteccia cerebrale superficiale. Territorio è una purissima associazione culturale e guai a coloro che seminano zizzania osando dire che dietro ci sia la voglia di “scendere in campo”. E’ solo un esempio della propaganda e dello inganno. Territorio è l’unica cosa a cui pensa il nostro sindaco, che ormai va al Comune solo due volte la settimana. Per il resto è tutto dedicato alla formazione delle liste a Santa Croce, Pozzallo, Scicli. Persino quando c’è stato il ciclone Athos, mentre lo immaginavamo a controllare uomini e mezzi della protezione civile, così come sembrava dal tenore dei comunicati di allarme, lui era rintananto in villa chattando su Facebook, infastidito per qualche messaggio dal tono moscio giunto da giovani non più entusiasti. U paìsi è abbandonato; non hanno più la forza di portare atti in consiglio comunale dove – come dicono i ragusani che amavano le tenzoni d’un tempo – regnano massari, infermeri e picciriddi di primu pilo. Il ruolo di Dipasquale si è esaurito, doveva solo mettere le mani sull’agro ragusano e trasferirlo ai costruttori. Secondo le imprese era un affare che portava ricchezza alla comunità; peccato che i palazzinari non siano dei cervelloni, nessuno li sta chiamando per salvare il pianeta. Solo noi credevamo al miracolo della trasformazione del cemento in oro. Per il resto, è un disastro. Ci vorrebbe il coprifuoco, la sera, a Ragusa superiore. Meno male che Dipasquale c’è; solo nella sua mente la città è viva e pulsante. Ha emesso una ordinanza che vieta il gioco del pallone sul sagrato e sulla piazza di San Giovanni. E’ bella l’ordinanza, sa di metropoli, di ordine, di rigore; quelli colpiti, però, sono i pochi ragazzetti del quartiere, figli di migranti, adolescenti magrebini, romeni e albanesi, che non hanno altri spazi pubblici riparati e sicuri e non hanno i soldi per sfogarsi in palestra e così vanno in strada. Siamo cresciuti, in Sicilia, giocando per strada con i vecchi che si incazzavano e tiravano bacinelle d’acqua. Ora il Grande fratello vuole silenzio e compostezza nella piazza, non più principale, per offrire la plasticità della morte urbanistica ai milioni di turisti che sgomitano, come a San Marco, per entrare in cattedrale. Rimaniamo al culto dell’immagine. La cosa più perturbante di questi giorni è stata la passerella di moda organizzata davanti ad un elegantissimo negozio di Via Archimede. Candele, divani, modelle, praticamente un sogno per esorcizzare la realtà: se uno passa per la via e fa una carrellata visiva registra le bellissime commesse talmente affaccendate da smaltarsi le unghie: non c’è un cane, e neanche un piccolo negretto che gioca a pallone. Finiamo col pesce, quello di Emiliano, il sindaco di Bari. Uno scrittore, Carofiglio, che è stato fra l’altro qualche giorno addietro a Ragusa per presentare un suo libro, ha scritto: “E’ una storia italiana, non locale. Oltre i particolari gustosi, ma irrilevanti, c’è la fotografia del livello raggiunto dai conflitti d’interesse, una vicinanza fra politica e affari vissuta ormai come normale. Che male c’è? Lo fanno tutti”. E qui ci sta eccome Grande Ragusa, altro che Bari! Il nostro sindaco mangia e viaggia con quelli che fanno affari in città: pesce a volontà per tutti. Chiudiamo con la speranza. Una bimba modicana di tre anni è stata dimenticata a casa dai genitori, nessuno dei due l’ha portata a scuola, poi sono andati entrambi a lavorare. La ragazza si è vestita, così come poteva, e tutta intrepida è uscita per recarsi fiduciosa al lavoro, il suo asilo. Come questa bambina, soli, nudi, allegri, anche noi ce la dobbiamo fare.

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