I consiglieri del Movimento Città, gli avv. Platania e Criscione, hanno presentato una proposta di modifica delle modalità di partecipazione economica nell’erogazione dei servizi sociosanitari a persone con handicap permanente grave e a soggetti ultra sessantacinquenni non autosufficienti. La proposta di modifica prende spunto da recenti sentenze del Tar del Veneto che si è già pronunciato a favore dell’annullamento del regolamento del Comune di Verona e del Comune di Vicenza in materia di “erogazione di interventi economici integrativi per il ricovero di anziani presso strutture protette”. “Nello stabilire i costi a carico del soggetto disabile o non autosufficiente per l’erogazione dei servizi sociosanitari, quali le rette per le case di cura, l’assistenza domiciliare, l’aiuto domestico, – scrive il Movimento Città – tali regolamenti prevedevano come parametro di riferimento il reddito Isee di tutto il nucleo familiare e non solo del soggetto assistito, cosicché il Comune pretendeva di prendere visione del reddito non solo del soggetto beneficiario, ma anche del marito, dei figli, dei mariti e delle mogli di questi ultimi e dei nipoti, sulla base del quale reddito – sottolinea il Movimento Città – l’amministrazione comunale di Ragusa decideva il contributo economico a carico della famiglia. Analoga previsione è attualmente contenuta nel regolamento del Comune di Ragusa per cui l’intero nucleo familiare, fino alla 4a generazione, è chiamato a rispondere “economicamente” dell’anziano o disabile, a vantaggio della amministrazione che, così operando, sostanzialmente finisce per ribaltare sul nucleo familiare gran parte dell’onere di assistenza – scrive ancora Città -. Il Tar del Veneto, e poi altri tribunali amministrativi, hanno però sancito che detta previsione è da ritenersi del tutto nulla poiché “al fine di determinare la contribuzione a carico dell’assistito, dev’essere evidenziata esclusivamente la sua situazione economica, e non quella del nucleo familiare”, conclude Città. Platania e Criscione sottolineano che “l’attuale previsione normativa non risulta conforme ai principi giuridici, morali ed etici ormai ampiamente condivisi dalla giurisprudenza, contrastando con norme di immediata applicabilità”.