17-05-2024
Ti trovi qui: Home » Politica » UN 25 APRILE DI DISFATTA PER IL PD RAGUSANO

25/04/2013 -

Politica/

UN 25 APRILE DI DISFATTA PER IL PD RAGUSANO

inciucio-in-corso-217x217Vanno con Cosentini quelli del Pd, a meno che scatti la ribellione dentro il partito. Lo ha voluto il segretario Peppe Calabrese che ha scelto la via della possibile – non certa – sopravvivenza politica personale consegnandosi a Nello Dipasquale umiliando il partito e piantando in asso l’elettorato. La festa della liberazione e della rinascita – il 25 Aprile – si trasforma nella data più nera della storia della sinistra ragusana. L’accordo, qualsiasi esso sia, – non conta alcunchè persino la vicesindacatura – è l’ingresso in un incubo che suscita vergogna e orrore, e la sventolata imposizione dall’alto – la maggioranza che regge Crocetta – non consola, né giustifica l’adesione del partito democratico a Cosentini. La resa – che ben si coniuga al clima confuso, spossato, avvelenato, che attraversa il Pd nazionale – la si vorrebbe far passare come una canalizzazione naturale verso il nuovo e forte alleato – l’ex sindaco transitato a sinistra – ma sono troppe le ragioni politiche che invece la riportano a quella dimensione di capitolazione. Cosa non funziona in questa adesione? Praticamente tutto. C’era solo una via per far digerire malamente il patto, le primarie, ed una volta escluso questo confronto perché Cosentini continuava a rivendicare la sua estraneità al centrosinistra, il partito democratico doveva prendere atto del permanere di quell’ambiguità vantata e offrirsi all’elettorato con la dignità della sua identità. Si dirà: quale, considerato lo sfacelo di questi giorni? La crisi del partito era ed è un’occasione per cercare o ritrovare una identità che, in verità, a Ragusa, era già nettissima nella contrapposizione all’affarismo e al conservatorismo della destra facilmente traducibile nella formula “alternativa democratica”. Non è stata risvegliata questa verità, né i padri nobili del partito, ad esempio un Giorgio Chesssari, hanno sentito il bisogno di chiamare i compagni all’analisi evitando l’impazzimento. Peppe Calabrese che è stato un magnifico consigliere d’opposizione in tempi assai difficili, non è in stato in grado di reggere le tante difficoltà del presente. La spaccatura interna con Battaglia – che ha fatto di tutto per screditarlo – divenuta faida, lo ha chiuso nel fortino della sua segreteria e da questo arroccamento – utile forse quando ci si conta a maggioranza e tuttavia privo del lungo respiro necessario a trattare alleanze da campagna elettorale – è uscito stremato e con le braccia alzate insieme al suo partito. Calabrese ha scartato con un fare a volte sprezzante – forte della sua superiorità numerica – due possibilità di alleanza, quella con Iacono e Sel, e quella con Emanuele Occhipinti offerta dalla parte centrista del suo partito e poi sposata da Megafono. Entrambe apparivano ed erano deboli rispetto alla macchina da guerra di Cosentini. Calabrese ha ripetuto convintamente in queste ultime settimane che la sua mèta non era la testimonianza bensì il governo di Ragusa e che non voleva trascinare il suo partito in una avventura perdente. Nessuno mette in dubbio che questa finalità sia un diritto, quel che non funziona è lo spappolamento del partito, il crollo di immagine, il non avere avuto la volontà e la capacità di affrontare l’insieme dei nodi. Andiamo quindi per sintesi tralasciando i tanti errori relazionali da parte delle liste civiche a sinistra del Pd che hanno ulteriormente irrigidito Calabrese e che comunque erano materia superabile, e puntiamo al dilemma che ha sconquassato l’anima e l’azione politica del segretario del Pd e del resto della dirigenza. Il nodo è il rinnovamento, quello strisciante o palese e soprattutto convertibile in voti, un sentimento che pervade l’intero Paese e Ragusa, come certificato da quel 40 per cento ottenuto dai 5 stelle alle politiche. L’altro nodo ovviamente è comune a tutto il Pd ed è l’orientamento incerto e ondivago fra socialdemocrazia e liberismo. Sono grandi temi, si dirà, mentre qui c’è l’urgenza delle amministrative. E’ vero, ma per il Pd la questione è vitale di questi tempi e deve attraversare ogni azione, ogni pensiero, ogni condotta, trascurare ancora quei nodi significa rassegnarsi all’estinzione o non essere all’altezza di un ruolo politico. Ebbene, il Pd nel suo segretario non ha puntato né creduto in questo ribollio sociale ed è rimasto come un mulo fisso a guardare terrorizzato le liste, gli acchiappamenti, gli annunci mirabolanti, insomma tutto il solido sistema di potere diretto da Dipasquale. Anche il Pdl, del resto, che si è sentito soffiar via questa organizzazione di consenso clientelare è rimasto paralizzato – da qui i tentativi maldestri di rincorsa per recuperare e spartirsi come sino a qualche mese fa, il bottino ora rubato – ; c’è però una differenza: il Pdl non vuole migliorare il mondo, esiste per garantire ricchezze e ingiustizie, e dunque il desiderio di cambiamento non interessa questo partito. La colpa di Peppe Calabrese è non avere avuto il coraggio ideale di prendere il suo partito e di portarlo dalla parte opposta di Nello Dipasquale e Cosentini. Ha optato per l’inganno proposto da Dipasquale e avallato da Crocetta in cui tutto viene scarnificato, minimizzato, ridotto a essenziale posizionamento in scacchiera. Ha preso atto del passaggio di Dipasquale a sinistra, si è tirato due conti sul vantaggio di stare, comunque vada a finire, nello schieramento ortodosso, e si è trascinato al riparo, sfuggendo ai venti delle novità e raggiungendo la zona protetta, appiattendosi sulla Ragusa che è vero non cambia mai ma che a differenza del passato avrà un governatore di Sicilia conscio dell’obbedienza del Pd ragusano. Non si può parlare di accordo con Nello Dipasquale, Calabrese si è proprio rifugiato da lui, gettandosi ai piedi di Giovanni Cosentini. Il segretario del Pd non è riuscito a tessere una tela di idee semplici per spazzare il vecchio – bastava poco per agguantare con morbidezza la città del cambiamento – ed è precipitato in una spirale di convenienze estreme, e colto da febbre cerebrale si è buttato incontro all’uomo nero, il cavaliere Dipasquale che con la lancia lo sollevava da terra. E’un salvataggio o un suicidio? Dipasquale è diventato lo scudo di Calabrese, perché questi ha deciso che se proprio si deve morire è meglio accada in compagnia del nemico, lo stesso che lo può rianimare se arrivano insieme al ballottaggio. E’ questo l’orizzonte del Pd, morire di tattica? Cosa serve al Pd riconoscere come leader Giovanni Cosentini? Condizionarlo nel governo, dice Calabrese. Sembra un’autoassoluzione più che un progetto. Nel frattempo prima del governo c’è la tenuta del partito e la visione di città. Nello Dipasquale non è il male assoluto, non è il diavolo, è solo uno che ha devastato la città nella sua fisicità, moralità e politica. Non è il diavolo, è solo un ragazzo furbo che ha trafficato talmente bene da diventare deputato; non c’è però nemmeno una sola frase, un solo gesto, che lo raffiguri come uomo della sinistra, non è portatore di alcun valore di svolta e di sogno, e la fedeltà a Crocetta vale quanto la capacità di un venditore di tappeti ad agganciare il cliente al gran Bazar. Il Pd ragusano si è incamminato in una lunga marcia di sconfitta, e probabilmente perderà voti. Quelle scene romane di tessere stracciate anticipano il disagio della sinistra ragusana storicamente legata al Pd e prima al Pci. L’amarezza che la sinistra ragusana prova in queste ore non è per il trionfo di Cosentini che aggiunge sigle, – per fortuna la simpatia che suscita questo candidato nell’elettorato è molto più limitata di quel che percepiscono gli apparati di partito – ma è la constatazione che il rinnovamento è cosa lontana assai, prevale ancora la stasi. Cosa ci salverà? I cinque stelle canteranno vittoria per l’inciucio. Riusciranno a diventare la prospettiva del cambiamento?

Commenti chiusi.

Scroll To Top
Descargar musica