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31/10/2013 -

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IL PD, U CAFE’, E IL BUIO

bandiera PdNon ha toccato il fondo il partito democratico in questa prima fase congressuale, c’è sempre quel qualcosa in più, ovviamente in peggio. Brogli dal Veneto alla Sicilia, miracoli nelle sezioni con i votanti che superano gli iscritti, balcanizzazione tra le varie correnti, ma il meglio di questa storia suicidaria si è avuta a Comiso, terra un tempo di nobili battaglie della sinistra occidentale. Si votava anche lì per il segretario provinciale per scegliere fra Denaro, Calabrese e D’Asta. Cosa fa Calabrese? Invia un suo rappresentante a Comiso – il regolamento lo contemplava – per verificare il corretto svolgimento delle operazioni. L’uomo, Giovanni Lauretta, mette piede nel Pd casmeneo con cervello e anima pieni di un unico ordine: non distrarsi, non allontanarsi mai dall’urna. E qui ha inizio il valzer dei compagni comisani che provano a distrarre il povero Lauretta dall’osservazione catatonica dello scatolone offrendogli a ritmo serrato un caffè al bar. Da Pippo Digiacomo, a Zago, a Bellassai, è un continuo invito: – “Giovanni amunì, pigghiamuni u cafè” – “Giovanni 5 minuti lassa iri, ci vole u cafè!” – “Giovannuzzu a ucca è sicca, forza ca è bellu u cafè o Comiso”. Lauretta è incrollabile, declina e replica: “Mi fa mali u cafè”. Trascorrono le ore, e i boss di partito che avevano l’urgenza di spartirsi democraticamente il risultato fra Denaro e D’Asta, non riescono a togliersi dai piedi l’intruso. Poi l’illuminazione: un black out è l’unico evento che potrebbe costringere Lauretta ad allontanarsi, ad avviarsi verso l’uscita in un momento di confusione e smarrimento. Appena le tenebre avvolgono Comiso, dentro il Pd salta la luce. Lauretta, però, intuisce, si butta con tutto se stesso sopra l’urna, acchiappa il cellulare dalla tasca, preme un pulsante a casaccio, ottiene un minino di chiarore e vede dietro di lui due tipi con in mano un fascione di schede pronte ad essere democraticamente infilate. Giovanni Lauretta scalcia, si aggrappa ancor di più al prezioso contenitore e urla: “Addumate sa luci!”. Il risultato è che a Comiso – dato in controtendenza rispetto al resto della Nazione – su oltre mille iscritti solo 700 hanno votato: il black out non è riuscito. Un vecchio compagno, con amarezza, ha ammesso: la verità è che siamo anche noi un pugno di banditi. I metodi attuali sembrano quelli della Democrazia Cristiana, del vecchio Pci è rimasto ben poco, sono in atto orride mutazioni. A Comiso, ad esempio, nel patto che il Pd ha chiuso con gli alleati durante la campagna elettorale di Filippo Spataro c’era la clausola della rinomina alla Soaco di Dibennardo, cognato di Nello Dipasquale. Forme notabilari concentrate sul mantenimento dello scambio locale. Stili lontani dal vecchio Pci. Dipasquale, che è stato rispettato assai – nella sua fase trasformista – dal Pd, è l’ex sindaco che ha imposto lo stile “sautafossa” anche al Comune di Ragusa dove si è riusciti a nascondere il debito di 10 milioni di euro, per bollette di luce non pagate, cambiando più volte contratti e fornitore, ritardando così la verità del colossale debito. Cosa c’entra – qualcuno chiederà – la vicenda della luce ragusana? C’entra; perché la grottesca storiella del black out di Comiso ha una sua cornice storica che è quella della metamorfosi non più strisciante del più grande partito della sinistra, divenuto passivo di fronte al disfarsi della democrazia, che ha portato all’accettazione di ogni deformazione e ipocrisia e quindi a continui arrangiamenti sul tema – le violazioni alle regole avvenute ovunque nei congressi testimoniano questa adattabilità del Pd alla vischiosità morale che si vive come cosa naturale e non come devianza. Naturale e forse persino giusto e corretto era – per Venerina Padua, ad esempio – votare l’emendamento che al Senato ha salvato i dirigenti della Provincia; né lei, né il suo partito – dato che nessuno si lamentava – hanno sentito il bisogno di pensare cosa diversa: gli effluvi dal lago delle larghe intese sono rassicuranti, soporiferi, bastevoli, appaganti. La roboante difesa a questo andazzo fa il paio a “Comunisti, comunisti” di Berlusconi. Chi rifiuta questa inclinazione immorale è populista, per primi i 5 stelle e tutto il movimentismo che scoperchiano l’ellenizzazione del Paese, sollevando la questione della pericolosità dell’impotenza attiva del partito democratico che sta massacrando le coscienze e l’azione della sinistra. I 5 stelle, ricordiamo, sono quelli che a fatica stanno scoprendo l’attività politico-magliara che vigeva a Ragusa; sono sempre i 5 stelle quelli che a Roma hanno costretto il Pd a dire il loro sì al voto palese, un voto alla luce del sole per buttar fuori Berlusconi. La luce, compagni. Tornando al black out di Comiso, bisognerà fare sapere ai compagni di laggiù, quelli dopo le curve, che l’orientamento deve cambiare se non si vuol morire democristiani. P.S. Sulla ingenuità dei grillini, si conferma questa lacuna. Sono così onesti che non sapevano, sino a ieri, della parentela, del perché Dibennardo sta di nuovo lì, del perché il Pd lo tiene tanto da conto.

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