Oratore Gian Antonio Stella, quello de La Casta. Di fronte, seduto in prima fila, Nello Dipasquale. La chiesa della Badia, stracolma. Il giornalista scrittore inizia così la sua conversazione: “Per costruire un paesaggio ci vogliono secoli, a volte millenni. Pensate al paesaggio italiano, a quello di San Gimignano, o a quello degli Iblei. Basterebbe un sindaco di Ragusa palazzinaro per distruggere il paesaggio ragusano”. Il boato è dirompente e viene dal cuore e si trasforma in uno schiamazzo ironico, un uh… potentissimo che rimbomba tra le pareti, un baccano che attraversa tutti presenti e che alla fine sfocia in uno scrosciante applauso di approvazione e di riconoscimento. Non è stato un attimo, non è stato un incidente: è l’attestato di fine carriera, è il sigillo di qualità, è il battesimo consacrato e imposto a Dipasquale. Lui sembrava una statua di sale, anche le palpebre avevano perso di mobilità. Rigido dentro il vestito color corvo è rimasto un’ora sentendo quel racconto terribile sullo sterminio dei campi, il cemento, le pale eoliche, la bellezza perduta, la volgarità dei politici. Forse è stato il momento più brutto di questi sei anni di potere. Non si immaginava che i ragusani lo ritrovassero in quel ritratto desolante della Italia e riconoscendolo lo sbeffeggiassero in un’esplosione di sentimento popolare. Lui, che si credeva tanto amato, è stato smascherato come il cattivo nel cinema muto o nella commedia dell’arte: ululati, risa e calci in culo. Scorrevano diapositive, immagini, filmati, e scorrevano le brutture e le vergogne del povero Paese, e il pubblico alzava lo sguardo verso la prima fila per imprimerselo bene in mente il personaggio. Non sarebbe accaduto un anno fa, i ragusani non avrebbero osato spingersi nel terreno della denuncia corale, quella che di norma si fa nelle piazze e che da noi è capitata in chiesa. Non l’aspettava Nello Dipasquale la medaglia di sindaco palazzinaro; forse pensava si dovesse trafficar di più per arrivare a tanto. Invece è semplice. Basta prendere tutta la cinta periferica di una città e far votare in consiglio comunale un piano per costruirci dentro centri commerciali, direzionali, villette singole e a schiera, e il titolo è assicurato. Non ci vuole una laurea per diventare palazzinari, basta l’indole e tanta incultura. Parola di Gian Antonio Stella.
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