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18/04/2016 -

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FEDERICO PICCITTO E LA FIERA DELL’INDIVIDUALISMO

federico-piccitto (1)Sembra un romanzo d’appendice questa crisi al Comune di Ragusa. Il titolo adatto è  “Le parole che non ti ho detto”. E così sono rimasti soli i cinque stelle, soli, come piace loro. Ora, dopo che Giovanni Iacono se n’è andato denunciando all’opinione pubblica l’infantilismo del Movimento, dovranno in gran fretta correre ai ripari e magari far finta che tutto è risolvibile e lineare e persino  camuffare pene e delusioni se vorranno rimanere al governo. Cosa non ha funzionato? Cosa si è rotto? Chi ha sbagliato? Sì, sono state le parole l’elemento di rottura, le parole che Iacono attendeva dai cinquestelle, le parole che i cinquestelle speravano fossero pronunciate da Piccitto, le parole sospese in aria che tutti potevano acciuffare e riposizionare in una catena di confronto, e che invece si sono solidificate e arrugginite e che poi  sono cadute in testa al primo cittadino e ai consiglieri che adesso per rimettersi in piedi dovranno scrollarsele di dosso con fare impacciato davanti ad un pubblico incredulo di tanta goffaggine e imperizia. Era stupida la crisi: un assessore donna da sostituire, una lista civica da recuperare, un assessore da ridimensionare perché inviso al gruppo. Normali inquietudini della politica quotidiana che hanno fatto stramazzare al suolo il governo della città. Era naturale che Giovanni Iacono chiedesse un minimo di riconoscimento politico, una verifica programmatica, un’assemblea pubblica per annunciare una fase di rilancio… ma Federico Piccitto non ha voluto mettere a punto l’allestimento spaventandosi che aprendo una maglia, seppur oleografica, di confronto, sarebbe stato travolto dalle ambasce e dalla ossessiva richiesta dei consiglieri di mandar via dalla giunta Stefano Martorana. Ha sbagliato Piccitto nel valutare Iacono; credeva che l’ansia di entrare in giunta prevalesse rispetto ai riti della politica ed ha puntato l’accordo su una intesa a due spiccia spiccia, per evitare lungaggini, per confermare a se stesso che alla fine conta solo il sindaco. Lo abbiamo raccontato più volte il disprezzo profondo che nutre Federico Piccitto per il gruppo consiliare;  una disistima che avrebbe costretto i consiglieri alla resa per isolamento. Sembrava una tattica vincente e forse sarebbe risultata tale se Iacono avesse ceduto all’invito senza chiedere alcunchè e senza pretendere che i rituali della politica fossero da consumare e celebrare. E’ inutile dire che la verifica in queste condizioni non rientrerebbe alla voce liturgia, ma a quella necessità impellente ed improrogabile per uscire dalla fase di custodia museale della città – sebbene la giunta si mostri appagata della propria alacrità operaista che purifica gli assessori e compensa il vuoto ideale. Non ce l’ha fatta Piccitto a cavarsela da solo in modo indolore e così in queste ore lo vediamo costretto a trovare una via d’uscita riposizionandosi ob torto collo in posizione colloquiale con “gli imbecilli” – è questo l’epiteto che il primo cittadino riserva ai consiglieri che da mesi tentano un primitivo approccio politico alle infinite questioni  che torturano la pubblica amministrazione. Cosa farà il sindaco? Innanzitutto tenterà ancora di intimorirli attribuendo al gruppo la colpa della fuoriuscita di Partecipiamo, rimarcando il danno causato dall’elezione di Tringali a presidente del consiglio, e poi spingerà a chiudere la questione – insomma trovare due assessori – per evitare ulteriori brutte figure e la crescente preoccupazione della cittadinanza che perplessa osserva. I cinquestelle sono giunti al bivio: governare ammettendo a se stessi e alla popolazione la complessità delle difficoltà abbandonando il settarismo fanatico e l’individualismo – da qui una discussione seria, libera dagli slogan, sul programma e sulle visioni del mondo e persino una richiesta a Partecipiamo, a Città, a Sinistra italiana, a movimenti e sigle organizzate, di studiare qualcosa che superi  la manutenzione ordinaria di Ragusa – oppure accontentarsi di essere della partita e fare voto di obbedienza ai vertici senza disturbare il sindaco e senza mostrarsi ipercritici e musoni mantenendo il piacere intimo di nutrire segrete speranze di prendere il volo, visto il vento in poppa, verso ruoli parlamentari. Insomma o scatta la politica, o si muore di individualismo pentastellato. E se è vero che Federico Piccitto ha una marcia in più ed è il migliore della compagnia è giusto – soprattutto per chi lo ha votato –  che sia lui a compiere una scelta un po’ più alta di quella esclusivamente tesa a tutelare l’amichetto di parrocchia, divenendo interprete della città progressista ed uscendo dai pantani grillini. Non è una contraddizione attivare un dialogo e recepire le critiche di un movimento per superare i limiti dello stesso movimento. Ci troviamo infatti di fronte ad un doppio individualismo: quello del sindaco e quello dei consiglieri, entrambi  frutto della mancanza di struttura partitica che viene sostituita volta per volta dall’arroganza, dalla presunzione, dalla semplificazione estrema. In un momento di rabbia Iacono ha esclamato “Non posso essere io a cambiare loro il pannolino”. Ebbene sì, che imparino a riconoscere le cose sporche e a ripulirsi! Piccitto deve uscire  dalla fragilità della scaltrezza e farsi uomo politico.

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